Non si vive nel passato e di rimpianti, si vive nel presente e con uno sguardo nel futuro.
Nel calcio come nella vita.
Vedere il Genoa al penultimo posto della classifica, in coabitazione con il Venezia, fa male, proprio perchè è presente.
Inutile girarci intorno.
La fiammella della speranza non è ancora del tutto sopita e questo per la debolezza delle avversarie, incapaci di risollevarsi per nostra fortuna.
È inevitabile però a questo punto pensare per un attimo agli episodi passati ed a quanto poco di più sarebbe bastato nei mesi scorsi non solo per salvarci, ma pure per godere di una relativa tranquillità.
Sono proprio i rimpianti di cui non si vive, ma esistono eccome nella nostra vicenda.
Lasciamo perdere Shevchenko, argomento trito e ritrito, lasciamo stare per un attimo il disastro estivo di Preziosi ed il famoso mercato di gennaio, che ha portato giocatori forti in difesa e a centrocampo e si è finora rivelato del tutto infruttuoso in attacco, e concentriamoci sulle singole partite, sul fattore campo.
Se B sarà, bisogna risalire a Genoa – Spezia del 9 gennaio per reperire la vera picconata alla stagione.
Eppure in seguito i miglioramenti con Blessin sono stati tangibili sotto tutti i punti di vista, morale, di gioco e quant’altro, seppur sotto l’insopportabile peso della sterilità offensiva.
A signore partite e pareggi contro le grandi o semi grandi, si sono alternati match d’assalto ( Udinese a Marassi e trasferta a Venezia ), in cui i 3 punti sarebbero stati ampiamente meritati, e partite un pò scialbe in cui colpevolmente davamo per certi i 3 punti alla vigilia ( Salernitana ed Empoli ), fino all’unico successo col Torino.
Peccato, due vittorie in più avrebbero dato una svolta probabilmente definitiva ed impulso ulteriore.
Le sconfitte con Verona e Lazio sono umane e comprensibili; i veneti sono più forti, i capitolini di un’altra galassia.
Sono partite dalle quali, in condizioni normali, non ci saremmo attesi un granché e solo la disperazione ci imponeva di ottenere dai 2 ai 4 punti.
La retrocessione non sarebbe un dramma, la vita andrebbe avanti e si ripartirebbe dalle fondamenta con nuovi programmi ( la parola “progetto” è meglio abolirla, nel calcio tutti coloro che la ripetono come un mantra fanno la fine del gatto ).
Rimarrebbe l’amaro in bocca, quello sì, per essere scesi in una stagione contraddistinta dal livello medio tecnico ed atletico imbarazzante per la nostra serie A, campionato di una pochezza disarmante in cui regna la lotta a chi fa meno per la salvezza e perfino per lo
Scudetto, ed in cui, se un appassionato neutrale ha intenzione di vedere una partita di calcio vero, vale la pena guardare solo Fiorentina, Sassuolo e Verona.
Bastava che girasse un goccio di più la ruota della fortuna, degli arbitri e degli attaccanti e a quest’ora saremmo sereni e con la pipa in bocca a commentare gli altri.
Amen, non saremmo il Genoa in questo caso.