La gara di ieri sera offre diversi spunti di riflessione, tuttavia il titolo sintetizza ciò che abbiamo vissuto.
Che il Genoa formato Ballardini sia quasi mai una show machine, lo sanno tutti e non può essere negato.
Le strade della perfezione porterebbero all’ottenimento dei punti attraverso un gioco spettacolare.
Così era il Barcellona di Guardiola.
Giocava e vinceva facendo girare la testa a tutti.
Che poi quel dream team fosse infarcito di campioni non è fattore secondario.
Il Genoa, non avendo Guardiola, e non essendo nemmeno lontanamente un dream team, deve “accontentarsi” di fare punti anche senza essere considerato una macchina perfetta.
Si chiama pragmatismo ed il vocabolario ne declina così il significato “Atteggiamento improntato a una visione realistica e pratica”.
In soldoni significa poca poesia e tanta prosa.
Il Genoa di ieri è l’estensione pratica del concetto.
Primo tempo da museo delle cere, ripresa condita da cinismo, praticità ed un pizzico di buona sorte, mancata nelle ultime prestazioni.
Troppo brutto per essere vero il primo tempo.
Squadra molle, slegata, lunga, larga, imballata e senza nemmeno troppa verve per utilizzare un eufemismo.
Di contro la squadra del “visionario” D’Aversa del cui oculista semmai ci occuperemo in altre puntate, pur avendo di fronte un Genoa come sopra descritto, non ha voluto, o forse per meglio dire saputo, affondare la presa.
Succede poi che le gare cambino e succede che si diventi pragmatici.
Due tiri in porta, due gol, un terzo sfiorato di un non nulla e la conduzione in porto di un risultato che luccica senza nemmeno tremare troppo.
Di non aver giocato bene, i puristi mi perdonino, me ne frega tanto quanto di sapere circa l’accoppiamento sessuale dei lombrichi, ammesso ci sia.
Ciò che contava non era apparire Guradiolisti ma pratici.
Pratici anche di fronte a coloro che hanno gufato.
Non mi riferisco solo ai vincitori di tappa della Tirreno Adriatico, ma anche a sedicenti Genoani con il vizio di volersi tagliare gli zebedei per dispiacere la consorte.
Tanti, troppi giudizi negativi di soloni da osteria pronti a pontificare sulla squadra, sull’atteggiamento, sulla cifra di gioco. Insomma su tutto.
Non mi permetto di entrare nel profondo io di nessuno.
Tutti noi viviamo la genoanità in maniera differente. C’è chi non guarda certe partite, chi le guarda con distacco, chi mentre cena, chi mentre litiga con moglie, figli, suocera ed amante contemporaneamente, chi le vive tutte d’un fiato.
Non voglio dire che sia giusto un atteggiamento piuttosto che un altro, anche se ho ben chiaro quale sia il mio modo di vedere il Genoa forse anche perché non ho l’amante, ma voglio dire a coloro che di professione fanno i “porta nero” di sfogare in altre maniere i loro propri problemi e frustrazioni.
Esistono tante passeggiate, escursioni o forse basta, banalmente, anche un computer giocattolo con il quale si fa poco danno.
Si, perché, leggere certi commenti infastidisce.
Un conto è una disamina oggettiva ancorché cruda. Un conto è vomitare sulla tastiera concetti a casaccio.
Dal vomito di sentenze allo psicodramma collettivo, sportivamente parlando, è un attimo.
Così come in un attimo si passa dal Guardiolismo al Ballardinismo godendo, vi assicuro, con un’intensità che non è semplice da spiegare se non attingendo ad effetti sonori poco raccomandabili alle educande.
Luca Ferrari