Quando sbarcò al porto di Genova nel 1896, James Richardson Spensley era solo un medico di bordo. In quel momento nessuno, nemmeno lui, poteva immaginare che, proprio a Genova, stavano per essere scritte le prime affascinanti pagine della storia del calcio italiano. A scrivere quelle pagine sarebbe stato proprio o mego ingleise (il medico inglese), come lo avrebbero chiamato di lì a poco i Genovesi. La leggenda del “Genoa Cricket & Football Club” stava per avere inizio.
Come il Grifone è un po’ aquila e un po’ leone, l’altrettanto mitologico Spensley era un uomo dalle molteplici qualità. Non basta infatti l’appellativo di “padre del calcio italiano”, che gli viene giustamente attribuito, per rispondere alla domanda “chi era James Spensley?”.
James Spensley, uomo di sport e di cultura
Nato nel 1867 a Stoke Newington, quartiere di Londra, Spensley aveva 29 anni quando, nel 1896, venne inviato a Genova per assistere i marinai e i marittimi inglesi delle navi carboniere. Laureato in medicina e chirurgia nel 1891, fin da giovanissimo aveva sempre viaggiato per il mondo, come dottore sulle navi mercantili.
Furono forse questi viaggi a fare di lui un personaggio che, a detta di molti, sembrava uscito da un romanzo di Rudyard Kipling. Come detto, Spensley era una persona difficile da catalogare: oltre ad essere un buon pugile e un discreto portiere, era anche un uomo coltissimo, così appassionato di culture e religioni orientali, da padroneggiare il greco antico e addirittura il sanscrito. Insomma, non era certo il prototipo del calciatore che abbiamo in mente. Tuttavia, se oggi vi batte il cuore ogni volta che gioca la vostra squadra, è anche a lui che dovete dire grazie.
James Spensley apre il Genoa agli Italiani
Al suo arrivo, Spensley trovò a Genova una folta colonia inglese. Dopo l’apertura del Canale di Suez, l’importanza dello scalo portuale genovese si era infatti accresciuto, attirando molti britannici che, pur lontani dalla patria, continuavano a praticare i loro sport preferiti.
Tre anni prima, il 7 settembre 1893, era stato fondato il “Genoa Cricket & Athletic Club”, associazione sportiva costituita dagli Inglesi residenti in città, che si cimentavano in diversi sport; tra questi anche il football, che, proprio come alle sue origini in Inghilterra, veniva praticato per tenersi in allenamento durante l’inverno, tra una stagione di cricket e l’altra.
Gli Italiani, per il momento, si limitavano a guardare incuriositi e, ben presto, iniziarono ad assieparsi sul molo della città, per vedere i marinai che prendevano a calci un pallone. Spensley, unitosi con entusiasmo al Genoa, si rese immediatamente conto che i tempi erano maturi per aprire una sezione calcistica all’interno del club, di cui divenne subito allenatore e capitano.
Il medico inglese reclutò i primi compagni di squadra tra i marinai britannici ma, con lo spirito del grande filantropo che lo caratterizzava, si impegnò immediatamente per l’apertura del club anche agli Italiani. La sua mozione, presentata nell’assemblea del 10 aprile 1897, venne accolta dai soci, dando inizio ad una storia d’amore, quella tra gli Italiani e il calcio, che dura ancora oggi.
James Spensley, il filantropo
Spensley ottenne presto la stima di molti nella Superba e non fu solo per questo gesto di fratellanza sportiva. Stabilitosi a Genova, nel cuore della città vecchia, il medico inglese divenne infatti anche uno dei principali sostenitori degli enti di carità genovesi, per il sostentamento e l’istruzione di orfani e trovatelli; prestava inoltre assistenza sanitaria gratuita per le famiglie meno abbienti del centro storico e teneva lezioni di alfabetizzazione per i ragazzi randagi, che vendevano fiammiferi e giornali agli angoli della città.
Quegli stessi carruggi sono lo scenario di un breve episodio, emblematico dell’indole di Spensley, che ci viene riportato da Vittorio Pozzo, allora futuro C.T. della Nazionale azzurra. I due stavano passeggiando nei vicoli del centro storico, quando incontrarono due ragazzetti che se le suonavano di santa ragione. Uno dei due ebbe la meglio e, spinto il suo avversario al suolo, stava per avventarsi a finirlo. In quell’istante intervenne Spensley, che separò i contendenti e ammonì severamente il vincitore con le parole: “Never hit a man when he is down!” (Mai colpire un uomo quando è a terra!). Nella concitazione del momento, era toccato proprio a Pozzo tradurre quella frase, che lo colpì profondamente.
Il medico inglese seppe insomma inserirsi al meglio nel tessuto sociale di Genova; basta guardare una sua foto per immaginarlo passeggiare tra le vie e i caffè della città, discutendo di calcio e di filosofia, di matematica e di geroglifici, per poi fare ritorno all’Hotel Union di Campetto, nel suo appartamento traboccante di libri e strani oggetti esotici riportati dai suoi viaggi.
James Spensley, padre del calcio italiano
Prima dell’arrivo di Spensley, il Genoa disputava i suoi incontri sulla Piazza d’Armi del Campasso, a Sampierdarena, in un campo di proprietà di due industriali scozzesi. Le partite si svolgevano tra soci o contro squadre improvvisate di marinai inglesi.
Sin dai primi giorni alla guida della sezione calcistica, Spensley si adoperò per organizzare il Genoa come una società sportiva britannica. Per prima cosa c’era bisogno di un nuovo campo e la sua scelta ricadde sulla zona di Ponte Carrega, lungo le rive del torrente Bisagno. Si trattava di un vecchio velodromo in disuso; c’erano i pali, la traversa e una semplice corda che separava il terreno di gioco dagli spettatori. Qui è stata scattata la famosa foto di Spensley tra i pali della porta, con i pantaloni alla zuava e la barba scura, che spicca sulla camicia bianca dalle maniche arrotolate: l’icona inconfondibile degli anni pionieristici del calcio italiano.
Anche il livello degli incontri andava alzato; così Spensley organizzò la prima sfida di calcio tra rappresentanti di diverse città italiane. La partita, svoltasi il 6 gennaio 1898, vide scontrarsi il Genoa con una squadra mista di giocatori dell’Internazionale Torino e della Torinese, che si aggiudicò l’incontro.
Come era già avvenuto in Inghilterra, erano appena state gettate le basi per unire le squadre italiane in un’unica federazione, la FIF (Federazione Italiana Football), e organizzare il primo campionato di calcio italiano, che si svolse al Velodromo Umberto I di Torino, l’8 maggio di quello stesso anno.
James Spensley e il Genoa vincono i primi campionati italiani
Il quadrangolare, che si giocò in una sola giornata, vide opporsi il Genoa a tre compagini torinesi: l’Internazionale Torino, la Torinese e la Ginnastica Torino. La squadra capitanata da Spensley si impose per 2-1 nella finale contro l’Internazionale Torino, aggiudicandosi così il primo trofeo ufficiale del calcio italiano. Questo trionfo diede a Spensley lo slancio per proporre il cambio di denominazione in “Genoa Cricket & Football Club”, il nome di cui ci siamo innamorati da bambini.
Durante il match decisivo, il portiere Baird si infortunò e venne sostituito tra i pali proprio dal medico inglese, che giocava fino a quel momento da perno della difesa. Fu questo l’inizio della sua fortunata carriera da estremo difensore.
Alla guida del Genoa, Spensley vinse infatti altri cinque campionati: nel 1899, 1900, 1902, 1903 e 1904, figurando quasi sempre tra i titolari. Il giornalista Emilio Colombo lo ricordava così sulle pagine de “Lo sport illustrato e la guerra”: “Bella figura d’atleta, Spensley apparve tra i primi campioni anche sul terreno. Noi eravamo tutti dei giovanissimi. Il Genoa presentava invece degli uomini fatti nella sua potente squadra: Pasteur, Passadoro, […] poi Bugnon, Salvadé […]. In porta giocava Spensley; un bell’uomo, che l’origine inglese nascondeva dietro una fluente barba nera. Quell’uomo in goal, che non parlava, che non perdeva mai la calma, che non aveva scatti rabbiosi, ci incuteva rispetto, soggezione. Io ricordo che J. R Spensley era sempre uno dei primi sul terreno. Si dirigeva verso i pali di un goal, deponeva in un angolo un cartoccio di pece greca e saltellando attendeva l’inizio del giuoco badando di ben bene ingiallirsi le mani e le braccia colla polvere attaccaticcia. Sembrava un uomo maturo, lento nei movimenti, invece giuocava bene, era agilissimo, fortissimo. Un preciso colpo d’occhio; un’ottima presa, un sicuro coraggio. Fu il primo ad insegnare ai nostri portieri la respinta – specialmente in melée – di palloni alti colle due braccia tese in avanti e le due mani serrate una all’altra. Guidava la sua squadra, l’allenava, la capitanava”.
La sopracitata pece greca è una sostanza usata principalmente in musica, per favorire l’attrito dell’archetto sulle corde degli strumenti ad arco, oppure nella danza, come antiscivolo da passare sulle scarpette. Il fatto che Spensley la utilizzasse per migliorare la sua presa tra i pali, ci fa intendere l’ambizione calcistica che aveva già nel 1897.
Qualche individuo dalle vesti sgargianti dirà che, in fondo, quei campionati giocati in una manciata di partite, non meritano di essere celebrati. Noi risponderemo con una frase dello stesso Spensley, tratta dal suo libretto “Teosofia moderna”: “Il pericolo, per noi moderni, sta nella tendenza a considerare tutte le teorie degli altri tempi e dovute ad altre condizioni come assolutamente prive di valore e nel ritenere valevoli solo le nostre. Noi ci consideriamo come quelli che primi raggiunsero nuovi ed originali punti di vista, ma “nihil sub sole novum”, dice il vecchio adagio, e non dobbiamo dimenticare la critica di Mefistofele: “Nulla si può pensar di dritto o torto che pensato non abbia il mondo antico”.
James Spensley: l’inizio di una leggenda
Proprio come quella di Luigi Ferraris (vi ho raccontato la sua storia qui), la vita del medico inglese ebbe un triste epilogo durante la prima Guerra Mondiale; nonostante i suoi 47 anni di età, allo scoppio del conflitto, si arruolò infatti come ufficiale medico e partì per il fronte da convinto volontario.
Quasi a coronare una vita di avventure e gesti di altruismo, il 25 settembre 1915, in una trincea delle Fiandre, il medico inglese tentò eroicamente di salvare un nemico ferito, caduto nella terra di nessuno tra i due schieramenti. Incurante dei proiettili che esplodevano sopra la sua testa, Spensley rimase strenuamente fedele al giuramento di Ippocrate e venne a sua volta dilaniato da una granata. Terminò la sua agonia nella fortezza di Magonza, in Germania, dove fu condotto come prigioniero di guerra.
Per novant’anni si pensò che le spoglie del medico inglese fossero andate perdute, anche perché, secondo quanto riportato dal Secolo XIX, sembrava che Spensley fosse caduto nelle trincee di Gallipoli, in Turchia. Nell’agosto del 1993, dopo qualche anno di ricerche, i due genoani Franco Savelli e Mario Riggio, scoprirono però la sua tomba nel cimitero militare britannico di Niederzwehren, vicino a Kassel, in Germania, oggi meta di pellegrinaggio di qualche romantico tifoso rossoblu.
Secondo Eduardo Galeano “ogni volta che un bambino prende a calci qualcosa lì ricomincia la storia del calcio”. Ogni volta che guardiamo il Genoa, noi prendiamo per mano quel bambino e lo accompagniamo fino alle origini del football, ai tempi in cui un uomo “dal multiforme ingegno”, un medico inglese, si ingialliva le mani in un cartoccio di pece greca.
di Enrico Barbieri