Il 22 gennaio 2021 il nostro amato stadio “Luigi Ferraris” compiva ben 110 anni. Tante sono infatti le primavere che ci separano da quel lontano Genoa – Inter, occasione in cui “o campo do Zena” fu ufficialmente inaugurato nel 1911. Da allora quasi tutti lo chiamano semplicemente Marassi, come il quartiere, confinando il suo vero nome e cognome alle comunicazioni ufficiali. La domanda, allora, sorge spontanea: chi era Luigi Ferraris?
Spesso, quando leggiamo il nome di qualcuno su una targa stradale o su un monumento, istintivamente non pensiamo a un ragazzo ma ci immaginiamo un uomo maturo, per non dire un anziano, immortalato in una ingiallita foto in bianco e nero. Sono invece quasi sempre i giovani a fare la storia; è proprio questo il caso del nostro Luigi Ferraris.
Era solo un ragazzo di 20 anni nel 1907, quando esordì in prima squadra con la maglia del Genoa, in un derby contro l’Andrea Doria terminato uno a uno. Era solo un ragazzo di 27 anni nel 1915, quando venne colpito a morte da un proiettile d’artiglieria da 152 shrapnel sul Monte Maggio, nell’Alto Vicentino, durante la Grande Guerra.
Aveva trascorso una vita a tinte rossoblu; con i suoi 187 cm di statura, si era fatto largo dal vivaio fino a divenire capitano del “Genoa Cricket & Football Club”. Faceva il difensore, allora definito “centromediano”, e basta guardare una sua foto per immaginarselo, con la barba e i baffetti biondi ben curati, mentre picchia duro in mezzo al campo.
Ferraris giocò nel Genoa fino al 1911, anno del suo ritiro, collezionando presenze e gol in campionato ma anche nella “Palla Dapples”, forse la competizione più importante dell’era pionieristica del calcio con la Challenge Cup.
Le cronache ci parlano di un ragazzo pieno di ardore, onnipresente sul campo, sempre deciso ma al contempo cavalleresco nei comportamenti; in poche parole, un leader carismatico per i suoi compagni e una minaccia terribile per gli avversari.
Con lo stesso ardore che metteva nel football, da deciso interventista, partì volontario per il fronte, pur avendo la possibilità di esserne esonerato, in quanto operaio militarizzato. Per le sue grandi doti organizzative venne destinato alle retrovie, che rifiutò energicamente, manifestando la volontà di “combattere in fronte all’iniquo nemico Austriaco!”.
Ai genitori scrisse che dalla prima linea se ne sarebbe andato “solo ferito, malato o a cose finite!”
Fu proprio in prima linea che guadagnò, suo malgrado, l’ultimo amaro trofeo della sua carriera; quella medaglia d’argento al valor militare che, durante la cerimonia di intitolazione dello stadio del 1° Gennaio 1933, fu sepolta in prossimità di una porta. Si trattava ovviamente della porta sotto la Gradinata Nord.
Quando potremo tornare allo stadio, nel turbinio di emozioni che proveremo nel sentirci finalmente a casa, ricordiamoci che quella casa ha il nome e cognome di un ragazzo, che con lo stesso ardore difese i nostri colori e i propri ideali.
di Enrico Barbieri