La Favola della Buona Notte di un Genoano a Barcellona
di Enrico Barbieri
Sono circa le 20.30 del 25 febbraio 2022 e mi siedo sul divano del mio appartamento di Barcellona. Sono pronto a sacrificare il mio venerdì sera sul solito consunto altare del Grifone, ma il mio animo è attraversato da sensazioni contrastanti. La TV è ancora spenta e, tecnicamente, sarei ancora in tempo per uscire, evitando così di autoinfliggermi una prevedibile sconfitta, contro un’Inter a caccia di punti scudetto.
Ho ancora negli occhi il pareggio di Venezia, l’ennesima occasione persa, forse l’ultima, per poter considerare anche solo lontanamente l’idea della salvezza; un’idea a cui sono rimasto ostinatamente aggrappato, con le unghie e con i denti, di partita in partita, occasione persa dopo occasione persa; un’idea che ad oggi sento essersi quasi rarefatta dentro di me.
Se ci penso bene, però, ho ancora negli occhi anche altre cose, sicuramente più piacevoli per il mio animo di Genoano ferito. Una di queste è il radicale cambio di atteggiamento dimostrato dal “nuovo” Grifone targato Blessin. Il suo, infatti, è finalmente un Genoa che gioca senza paura, provando a sopperire ai limiti tecnici con l’organizzazione e il sacrificio, ma anche con la spregiudicatezza e la voglia di attaccare l’avversario; un Genoa che difende attaccando, che pressa alto e prova a far girare velocemente il pallone. Per ora, è vero, è mancata la vittoria, ma è altrettanto vero che il Genoa non creava un’occasione gol da mesi. Con il tecnico tedesco, invece, siamo finalmente tornati a metterci le mani nei capelli e a gridare UUUUUUUHHHHHHHH! dopo un gol mancato! Fino a qualche domenica fa mi sembrava impossibile anche questo e, lo ammetto, avrei pagato anche solo per vedere un cross in mezzo all’area avversaria.
Mentre ciondolo con il telecomando in mano, fingendo con me stesso di essere indeciso sull’accendere o meno la TV, mi rendo quindi improvvisamente conto di stare riscoprendo una vecchia sensazione, una sensazione ormai sopita da tempo, sepolta sotto la pesante coltre di tutte le partite incolore degli ultimi anni: sto parlando di quel senso di reciproca appartenenza tra me e i ragazzi che stanno per scendere in campo. Sembra strano dirlo con questa posizione di classifica, ammetto con me stesso, ma mi è improvvisamente chiaro come questo Genoa, sorprendentemente, mi appartenga e mi rappresenti, con i suoi limiti tecnici e la sua difficoltà nel segnare, ma anche con la sua grinta e con il suo coraggio.
Mi decido dunque a premere il tasto rosso del telecomando e, appena il collegamento torna a Marassi dopo la pubblicità, mi accorgo subito che il sottofondo è quello di un Ferraris che ribolle di passione; la colonna sonora è inevitabilmente la stessa che cantiamo e fischiettiamo da tutta la settimana: GENTE DI MAREEEEEE!!! CHE SE NE VAAA!!! DOVE GLI PAREEE!!! A CARICAAAAAR!!!
Uno spettatore neutrale non ci farebbe caso ma, alle orecchie di un Genoano, quel coro potente suona come un messaggio forte e chiaro: la Nord non ha ancora smesso di cantare dal triplice fischio di Venezia, quando il settore non ne voleva proprio sapere di svuotarsi per raggiungere i traghetti e, nonostante il risultato pessimo, la laguna risuonava ancora dei nostri cori ben oltre il 90’ minuto.
Non sono quindi il solo, mi dico, ad aver ritrovato quel senso di attaccamento alla squadra che avevamo perso da anni. Nella città del mugugno, con il Genoa penultimo in classifica, non può certo mancare chi critica aspramente, ma la mia sensazione è quella di un ambiente ricompattato, sugli spalti e sul campo, in un reciproco scambio di energie positive che si respira anche dal mio salotto di Barcellona.
Probabilmente questo non basterà a salvare la categoria, dico tra me e me, ma non mi interessa, non mi interessa più. Mentre i miei occhi sono rapiti dallo spettacolo della Nord, il mio cuore non ha più alcun dubbio: salvarsi sarebbe un’impresa leggendaria, una favola che ci racconteremmo per anni durante le trasferte più lunghe, ma la vittoria più importante noi Genoani l’abbiamo già conquistata, dimostrando a tutti e in primis a noi stessi che, nonostante i litigi e i mugugni, siamo ancora quelli di Genoa – Cosenza del 2003.
Mentre mi cullo con questa idea romantica, ecco che il Genoa sfodera una prestazione superlativa, mantenendo un ritmo altissimo per quasi tutta la gara, creando occasioni e provando ad imporre il proprio ritmo alla partita, nonostante la differenza tecnica abissale con l’avversario. Il Grifone si batte con il coltello tra i denti, lottando su ogni pallone e impedendo ai nerazzurri di rendersi troppo pericolosi, ma anche andandoli a prendere alti e affrontandoli a viso aperto.
Il risultato non si sblocca e gli ultimi minuti sono interminabili, con l’Inter che tenta di acciuffare la vittoria all’ultimo respiro e il Genoa che resiste, sostenuto dal solito incessante coro della Nord. La partita finisce con un pareggio a reti inviolate, l’ennesimo pareggio della gestione Blessin, l’ennesimo pareggio che non serve a molto ai fini della classifica, ma gli sguardi sul campo e quelli sugli spalti sono di chi ha ottenuto una vittoria.
Le grida e gli abbracci dei ragazzi al triplice fischio, così come gli applausi della Nord, non sono però per il punticino conquistato, che rimane importante, ma perché il Grifone ha dimostrato di avere di nuovo gli artigli ed è pronto a combattere contro chiunque. Mi ero quasi rassegnato all’idea della retrocessione, rimugino mentre vado a letto, ma a quanto pare tocca continuare a crederci, perché gli occhi di Blessin a fine gara dicono che i suoi ragazzi non smetteranno di lottare.
È mezzanotte e aggiorno un’ultima volta la pagina di Realtà Genoana prima di dormire: la Nord è ancora tutta dentro lo stadio e non vuole smettere di cantare per il suo Genoa. Mi sistemo il cuscino, chiudo gli occhi e sorrido nel buio della mia stanza. Ora so che, comunque si concluderà questa pagina della nostra folle storia, noi avremo sempre una bella favola da tramandare; racconta di un popolo che non si arrende mai, racconta di gente di mare, racconta di noi condottieri di questa città, che ci saremo sempre, COMUNQUE E OVUNQUE, come recitava lo striscione di Venezia.
Enrico Barbieri