Parlare di Genoa, per me, vuol dire anche parlare del mondo in cui il Genoa vive, del contesto in cui il Genoa deve cercare di sopravvivere, e un giorno, ne sono certo, afferrare un frammento di quella gioia che ci manca da troppo tempo.
Ieri sera ennesima brutta figura del calcio italiano su scala europea, quindi mondiale. Ma non è questione di calcio. Figuriamoci se il mio, il nostro problema, è il calcio. Il calcio è uno specchio, una conseguenza, una conferma, della nostra situazione, come Paese, come cultura, come società.
No, non ho parlato di soldi. No, non è una dimenticanza. I soldi non sono la soluzione, sono il problema. E non parlatemi di Barcellona, Real Madrid, Manchester, PSG, che insieme fanno 3 miliardi di euro di debiti. Certo hanno le grandi stelle del firmamento, certo hanno i numeri dalla loro parte, talmente dalla loro parte che si sono giocati in modo quasi infantile e rozzo la carta Superlega perché non sanno più come uscire dal buco nero in cui si sono infilati con i costi assurdi di calciatori, procuratori, ingaggi.
Ma vincono qualcosa, alcuni. Vincono. Si indebitano sempre di più, e vincono. Altri spendono altrettanto, si indebitano altrettanto, e non vincono ugualmente.
Stiamo criticando la gestione del nostro Genoa da anni, con lecite motivazioni, con evidenze inoppugnabili specialmente negli ultimi 4 anni.
Mancanza di progettualità, di programmazione, di organizzazione, di preparazione, di linearità. Non voglio darvi una brutta notizia, che se fosse solo un problema del Genoa sarei più arrabbiato ma anche fiducioso di poter risolvere il problema prima o poi.
Il problema, purtroppo, è che a parte rarissime eccezioni dovute a garanzie personali, vedi l’Atalanta, il calcio italiano segue a ruota la schizofrenia, la disorganizzazione, la mancanza di programmazione e di sacrificio del Paese in cui opera.
L’Italia.
E non è una banale questione di vittorie, che sono solo una conseguenza del lavoro svolto. Ma se trascuri i settori giovanili perché richiedono un lavoro a medio lungo termine, se invece di investire su un ragazzo qualche anno vuoi comprare un prodotto apparentemente finito e spesso finto per vincere ieri, per poi spendere soldi in operazioni a brevissimo termine, marketing mordi e fuggi, transazioni assurde con procuratori senza pietà, e non costruisci dal basso una struttura, una fidelizzazione anche emotiva, un senso di appartenenza solido e duraturo, anche i soldi che spendi in più non ti aiuteranno mai a raggiungere i tuoi obiettivi.
E sto parlando della Juventus, ma sto parlando anche del PSG, che se dovesse fallire ancora una volta il proprio obiettivo dopo avere speso una fortuna, si allineerebbe al Real dei sogni di qualche anno fa che dopo avere raccattato in giro i numeri uno di ogni ruolo si è trovato con un pugno di mosche in mano.
I soldi servono, certo. Ma bisogna saperli spendere, bisogna saperli appoggiare sulle fondamenta di qualcosa che sappia anche sostenerne il peso, e bisogna affiancarli all’amore, per una idea, per una storia, ed anche per una maglia.
La strada che sta seguendo il calcio italiano è la strada sbagliata, e non lo dico io, lo dicono i risultati, lo dicono i bilanci, e lo dice l’amore delle persone perso per strada.
La strada giusta è quella in salita, quella scomoda, quella più lunga. Con o senza i soldi.
E’ sempre stato così, sarà sempre così, non può che essere così.
Luca Canfora