Il 2020 qualcosa ci ha raccontato, e l’inizio del 2021 sta proseguendo sulla stessa lunghezza d’onda.
Anche nel calcio.
Il mondo, apparentemente, sembra poter fare a meno degli esseri umani. Anzi, in alcuni casi ne trae vantaggio: il fermo immagine del 2020 ha ridotto l’inquinamento globale, i consumi superflui, gli sprechi. D’altro canto sta distruggendo moltissime attività, mansioni, persone… vite. La chiusura globale ha favorito le grandi multinazionali, gli enormi magazzini più o meno virtuali del commercio online, mentre sta cancellando il “piccolo” commerciante, la bottega del quartiere, il tessuto sociale che fa da collante tra il nostro dentro ed il nostro fuori.
A volte tendiamo a non comprendere ed accettare i cambiamenti, ancorandoci ai nostri ricordi, alle nostalgie, ciechi di fronte al cambiamento che i nostri figli accetteranno come un passo avanti. Ma in ogni cambiamento abita qualcosa che va perduto e qualcosa che viene guadagnato, si tratta solo di fare un bilancio onesto per selezionare, sia nel nuovo che nel “vecchio”, ciò che ci fa bene, che ci fa stare bene, che migliora la nostra vita e noi stessi.
Questo è accaduto anche nel calcio.
Il “nuovo” non è migliore a prescindere, come non è peggiore, e vale la stessa cosa per il “vecchio”.
Quello che a me manca, nella vita di questi giorni, e nel nostro calcio, è un pochino di umanità.
Io ordino su Amazon tutto quello che mi serve, e che quasi sempre non mi è possibile trovare nel negozio fisico. Non credo ci sia nulla di male. Ho appena ricevuto un cavetto particolare che mi serve per la mia pedaliera per chitarra, e che ho cercato disperatamente in tutti i negozi di strumenti musicali che abbiamo a Genova, ma che nessuno possiede. E’ un semplice cavetto da 12 euro che da una parte è stereo e poi si sdoppia in due cavi mono, con i connettori a T. I negozi di strumenti musicali a Genova sono tutti amici miei, alcuni più di altri, ma nessuno di loro lo aveva, quindi l’ho ordinato online, e non mi sento un criminale. Ma quando vado da loro, chiacchiero mentre provo una chitarra, un amplificatore, sparo due stupidaggini sul Genoa e prendo in giro il sampdoriano che ho a fianco mentre ci facciamo due risate… io sono più felice. Sono felice di dare i miei soldi a lui, sono felice di potermi sfottere con un doriano prima, durante e dopo il derby, sono felice di poter parlare con le persone, darci due pacche sulle spalle (al doriano con più energia ed entusiasmo!), sono felice di scherzare, toccare, abbracciare le persone che mi garbano, di guardare le persone negli occhi.
La vita continua, e si può addirittura continuare a vivere con una mascherina, senza contatti, senza concerti, senza Teatri, senza Cinema, senza spintoni, senza grida, abbracci, liti ed esagerazioni da Stadio.
Ma non è la stessa cosa, non è la stessa vita.
Ci hanno dato il campionato senza pubblico, e ci siamo abituati. E’ passato un anno, un anno per me molto triste. Ci siamo quasi dimenticati della vita precedente, ma questa non è vita. Io sono anche d’accordo che il campionato non si sia fermato, ma io non ho entusiasmo, non ho pathos in questo momento, non ho orizzonte, e non ho energie.
Nonostante questo non posso sottrarmi, ho bisogno di rimanere agganciato alla vita, in tutte le sue sfumature, alle cose che amo, la musica, il Genoa, i progetti che ho e che sto cercando faticosamente di tenere in vita, ma mi manca tutto.
Il 2020 ci ha raccontato questa storia, una storia che probabilmente tutti conoscevamo già ma che è stato istruttivo apprendere all’esame scritto.
La vita continua, stiamo riuscendo a fare a meno di molte cose, e stiamo riuscendo a portarne avanti moltissime altre in modo distante, distanziato, freddo, virtuale. In qualche modo stiamo tenendo botta come se fosse tutto normale, possibile.
Ma senza umanità, perfino i lati peggiori della nostra umanità, non è la stessa cosa, non è la stessa vita, non è la stessa gioia, non è lo stesso orizzonte, non è lo stesso futuro… e non è lo stesso Genoa.
Luca Canfora