Come tutti sapete, la strada che corre tra il torrente Bisagno e lo stadio Ferraris di Genova porta il nome di Giovanni De Prà. Gli fu intitolata nel 1979, poco dopo la sua scomparsa, ed erano stati gli stessi Genovesi a voler onorare la sua memoria con questo tributo.
Pochi anni prima, nel 1972, De Prà era stato addirittura insignito con la “Fronda d’oro”, riconoscimento destinato a chi, in Italia e nel mondo, onora la Liguria e la sua gente, venendo così definito:
“sportivo di schietta tempra ligure tenne sempre vivi l’onesto agonismo e l’alto valore morale dello sport, esaltandoli, nel gioco del calcio, in vittorie prestigiose, affermazione ed esempio, non solo in Italia, di una nobile passione sportiva vissuta in purezza e con sacrificio”.
Conoscendo bene i nostri conterranei, così poco avvezzi agli incensamenti, viene dunque inevitabilmente da chiedersi “chi era Giovanni De Prà?”.
Giovanni De Prà, le prime parate
Il ruolo del portiere mi ha sempre affascinato; forse perché è un uomo solitario, ma non per mancanza di coraggio. Ci vuole infatti una grande personalità per vestire la numero 1, perché, pur rimanendo in disparte, l’estremo difensore è sempre sotto i riflettori e gli occhi del pubblico sono tutti puntati su di lui, pronti a giudicare ogni suo minimo errore.
Quando si è bambini, quasi nessuno vuole giocare in porta e, solitamente, viene relegato tra i pali chi viene considerato meno bravo con i piedi. Alcuni, però, si sentono inspiegabilmente votati a quel ruolo sin dall’inizio. Io, per esempio, non sono mai diventato un gran portiere, ma ricordo chiaramente che, da bambino, adoravo rotolarmi sull’asfalto della piazzetta sotto casa, e gioivo di più nel negare un gol che nel farlo.
Chissà come è capitato a De Prà, di ritrovarsi a difendere i pali di una porta immaginaria tra i platani di Via Casaregis, volando per respingere i palloni di pezza calciati dai suoi amici. Sarà stata l’idea di qualche suo compagno di giochi, più bravo di lui a calciare, oppure fu l’istinto a guidarlo? Forse non lo sapremo mai ma era certamente un portiere nato.
Giovanni De Prà e il Genoa degli “Invincibili”
Giovanni De Prà nacque a Genova il 28 giugno 1900 e trascorse la sua infanzia tra i cantieri navali, dove il padre Antonio, veneziano fuggito dal Regno austro-ungarico, lavorava come maestro d’ascia. Fu in quegli anni precedenti alla Grande Guerra che si sbucciò le ginocchia nelle prime fanciullesche parate. Sarà però dopo il conflitto che inizierà la sue vera carriera da portiere.
Nel 1920 giocava nella Spes, che aveva sede in Via Assarotti, nei pressi della Basilica di S. Maria Immacolata, e disputava le sue partite in un campo nella zona di San Gottardo, prima di trasferirsi sulla cosiddetta Piazza d’Armi, dove oggi si trova Piazza della Vittoria.
Qualche anno prima, nel 1915, William Garbutt aveva riportato il Genoa a vincere un titolo di campione d’Italia, che mancava dal lontano 1904. Il progetto di rifondazione, intrapreso dai dirigenti genoani, era stato però interrotto dallo scoppio della guerra. Le vittorie erano dunque rimandate ma non avrebbero tardato ad arrivare.
Negli anni dopo il conflitto, in un calcio italiano che guardava ancora verso i valori del dilettantismo, il Genoa del medico inglese puntava invece dritto verso il professionismo. Quella messa in atto dai dirigenti del Grifone fu una vera “campagna acquisti”, quando ancora questa espressione non esisteva nel mondo del calcio.
Sarebbero stati gli anni del “trio delle meraviglie” Barbieri – Burlando – Leale, ma sarebbero stati anche gli anni di Giovanni De Prà. Il suo talento non passò infatti inosservato agli occhi di Garbutt, che ne apprezzò sin dal primo momento il coraggio, la presa ferrea, garantita da mani esageratamente grandi e forti, e la potenza esplosiva delle gambe. Il medico inglese non si sbagliava quando decise di ingaggiarlo, perché De Prà, con le sue manone, avrebbe contribuito non poco alle vittorie dei campionati 1922-23 e 1923-24.
In quegli anni il Genoa giocò ben 33 partite utili consecutive senza essere mai battuto; siamo certi che quel record passò anche dalle parate del portiere rossoblu. Le note vicende della finale con il Bologna del 1925, che ci lasciano l’amaro in bocca ancora oggi, conclusero purtroppo quel grande ciclo ma non cancellano le gesta di quel Genoa degli “Invincibili”, tra i quali figura a pieno titolo anche De Prà.
Giovanni De Prà e la rivoluzione degli allenamenti
I successi di quella squadra erano certamente dovuti alla grande qualità dei giocatori, scelti dalla dirigenza e da Garbutt con il solo obiettivo di far tornare il Grifone a volare. Ebbe però grande peso anche la rivoluzione dei metodi di allenamento, messa in atto dal medico inglese per ottenere il massimo da quei giovani talenti. Garbutt non fece eccezioni per il portiere e De Prà venne affidato alla guida esperta di Elisha Scott, il goalkeeper del Liverpool, che gli fece svolgere allenamenti specifici per il suo ruolo.
E’ lo stesso De Prà a raccontarci con stupore delle novità introdotte dal suo mentore: “Un giorno [Scott] arrivò a Marassi con alcuni chilometri di nastri e in una ventina di minuti li sistema nell’area di rigore, stendendoli dalla porta in diverse direzioni e
fissandoli a terra con picchetti. Pareva d’essere a carnevale e invece si trattava di una lezione elementare e universitaria a un tempo. Quel giorno compresi tante cose e soprattutto l’arte del piazzamento”.
Giovanni De Prà e la Nazionale
Le sue straordinarie doti e gli allenamenti speciali di Scott portarono De Prà a vestire anche la maglia della Nazionale, con cui esordì a Milano nel marzo 1924, in un match amichevole contro le furie rosse della Spagna.
Quel calcio di altri tempi, dove non esistevano ancora le sostituzioni, veniva giocato da uomini di altri tempi: De Prà era certamente uno di quegli uomini. Al ventesimo minuto, infatti, il portiere si fratturò un braccio in uno scontro di gioco ma, incurante del dolore, rimase stoicamente in campo fino al novantesimo.
La porta dell’Italia venne bersagliata di tiri da tutte le posizioni e De Prà venne attaccato su ogni pallone, caricato su ogni uscita e picchiato dai giocatori spagnoli fino a perdere i sensi; la rete alle sue spalle rimase però inviolata fino alla fine dell’incontro, che si concluse con il sorprendete risultato di 0 a 0. Il triplice fischio arrivò come una liberazione e il nome di De Prà, protagonista assoluto della partita, rimase impresso in quella pagina leggendaria della storia della Nazionale.
Per fare il portiere ci vuole, ancora oggi, un pizzico di follia e questo episodio ce ne dà un’ulteriore conferma, oltre a dirci molto di chi fosse De Prà, come atleta ma anche come uomo.
Una tale impresa non fu dimenticata dal “Guerrin Sportivo”, che promosse una sottoscrizione popolare per donargli una medaglia, a perenne ricordo di quelle gesta.
Giovanni De Prà genoano a vita
Il nome di De Prà era sulla bocca di chiunque amasse il calcio e non poteva non destare l’interesse dei club più prestigiosi, che tentarono infatti di allontanarlo dal Genoa. Le sirene più insistenti erano quelle del Torino del marchese Maroni Cinzano, che lo convocò per proporgli un’offerta senza eguali: un assegno già firmato dove il portiere avrebbe potuto scrivere la cifra che voleva! Con un atto di fede ai colori rossoblu, che mi mette i brividi solo a pensarci, De Prà rifiutò fermamente, rispondendo: “Sono genovese e genoano, tale resto!”.
Quello tra De Prà e la casacca del Genoa era un connubio indissolubile ma il portiere rossoblu si legò anche alla maglia della Nazionale, che vestì per 19 volte, conquistando la medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Amsterdam del 1928. Negli anni precedenti al secondo conflitto mondiale, l’Italia vantava infatti una delle più forti difese dell’epoca, formata da Bellini e De Vecchi e completata proprio da De Prà, che nel 1929 venne premiato, insieme allo spagnolo Zamora, come miglior portiere internazionale.
Giovanni De Prà sfida il Duce
Vestire la numero 1 significa muoversi “in direzione ostinata e contraria” rispetto a ciò che tutti attendono spasmodicamente, rispetto cioè al fine ultimo di questo sport: la gioia del gol. De Prà, però, si spinse a portare questa attitudine eversiva anche fuori dal rettangolo di gioco.
Al loro ritorno dalle Olimpiadi di Amsterdam, nel 1928, gli atleti della Nazionale vennero accolti come eroi. Durante le celebrazioni, avvenute sotto lo sguardo di Benito Mussolini, De Prà fu però l’unico degli azzurri a non mostrare il saluto romano al passaggio del Duce, oltre ad essersi rifiutato di indossare l’alta uniforme. Questo atto di disobbedienza non gli fu perdonato e De Prà fu così anche l’unico dei suoi compagni a non ricevere la medaglia di bronzo, conquistata in Olanda anche grazie alle sue parate.
Questo torto venne riparato soltanto 34 anni dopo da Artemio Franchi, Presidente della Federazione, che decise di consegnargli una medaglia personalizzata. De Prà accettò, ma solo a condizione che, dopo la sua scomparsa, venisse sotterrata sotto la Nord del campo di Marassi, come segno di riconoscenza al Genoa e ai suoi tifosi.
De Prà si spense nel giugno del 1979, dopo una carriera colma di successi sportivi, conquistati sorprendentemente senza mai essere ammonito o espulso. Il 16 di settembre dello stesso anno, prima di un Genoa – Matera, gara di esordio del campionato di Serie B 1979-1980, la sua volontà venne rispettata e la sua medaglia più bella venne interrata dietro la porta sotto la Nord.
Quella medaglia scomparve, purtroppo, durante i lavori di ristrutturazione per Italia ’90. Il ricordo di De Prà, invece, non andrà mai perduto, perché ogni volta che indossiamo le nostre sciarpe rossoblu e sfidiamo il vento gelido del Bisagno per recarci al Ferraris, in realtà stiamo andando a un indirizzo preciso, che corrisponde a un nome e un numero. Il nome è quello di Giovanni De Prà e il civico non può che essere il numero 1.