Non chiamatemi nostalgico o ancor più direttamente vecchio.
Ma quando penso al derby, non può non venirmi in mente il mio primo visto e, purtroppo perso.
Era il famoso derby di Roselli, ma io amo ricordarlo come quello di Gorin, a segno, e del calcio di una volta.
Beppe Barnao, grandissimo esponente del giornalismo ligure, che intervista i calciatori all’uscita del tunnel poco prima dell’inizio o poco dopo la fine di una gara, non ha prezzo.
Il campo a schiena d’asino, il verde, vero, dell’erba e non quello televisivo spalmato ad arte come quello attuale, riposano nei miei più reconditi cassetti della memoria.
Così come l’odore o le reclam.
“mio nonno vestiva da Mauri, mio padre veste da Mauri, io che sono giovane vesto da Mauri…” oppure “Loewe, alta tecnologia germanica” o ancora il cartellone “Morini” che campeggiava sulla sud.
I cuscinetti di paglia lanciato in campo dai distinti ad ogni fine gara, il 18 Isolabella.
Ricordi limpidi di un calcio in estinzione.
E quando si avvicina il derby, non so perché, riaffiorano. Lucidi ancorché impolverati.
Scanditi dall’odore e dal rumore.
Rumori di uno stadio stipato come in quella mia prima occasione.
Il derby per me è ricordo e poesia.
Poesia che diventa prosa negli ultimi anni.
Di sera, per arricchire qualcuno, persino tentato alle dodicietrenta.
Lontano dal mio personale immaginario che, per molti stanno leggendo, rappresenterà solo letteratura e storia, nemmeno contemporanea. Quasi preistoria.
Ebbene, prendete qualcuno che li abbia vissuti quei tempi e quei derby. Chiedetegli dieci minuti del suo tempo e preparatevi a stare ad ascoltare ore di racconti.
Il Genoa è questo, il derby anche.
Perché il derby è nostro qualunque sia il risultato.
È nostro perché noi siamo la storia di che ne possano dire i furesti…
Forza Genoa…comunque vada.
Luca Ferrari