Chi era Ottavio Barbieri? di Enrico Barbieri
Come ho già raccontato, ho visto le mie prime partite al campo “Ottavio Barbieri” di Framura, teatro di epiche sfide all’ultimo sangue (nel vero senso della parola) tra Framurese e Real Deiva.
Anche se intitolato a qualcuno con il mio stesso cognome, il nome del campo non mi aveva mai incuriosito più di tanto, fino a quando entrai per la prima volta al Ferraris, dove lo stesso nome campeggiava su uno striscione al centro della Nord. Era la “pezza” di uno dei club più importanti della storia del tifo rossoblu e, a quel punto, fu inevitabile chiedersi “chi era Ottavio Barbieri?”.
L’esordio leggendario di Ottavio Barbieri con il Genoa
Se la storia di Luigi Ferraris è quella di un ragazzo che non tornò dal fronte della Grande Guerra, le gesta sportive di Ottavio Barbieri iniziano proprio al rientro dei militari dalle trincee della Prima Guerra Mondiale.
Nell’aprile del 1919, all’età di 19 anni, il genovese Barbieri giocava nella primavera del Genoa, i boys, come si diceva all’epoca, e il giorno di Pasqua di quell’anno segnò l’inizio della sua carriera in prima squadra, con un esordio che ha del leggendario.
Finalmente, dopo la forzata interruzione dovuta alla guerra, era di nuovo possibile organizzare una partita di calcio degna di tale nome e, il 20 aprile 1919, il Genoa sarebbe stato impegnato contro una rappresentativa di professionisti inglesi.
Ad aprire l’avvenimento sportivo, si era svolta una partita amichevole tra la primavera del Genoa e il 1° Artiglieria da Fortezza. La grande prestazione di Barbieri, il migliore in campo quel giorno, non era sfuggita a Mister Garbutt, che ne rimase impressionato, tanto da chiedergli se se la sentisse di giocare in prima squadra.
Possiamo immaginare l’emozione del ragazzo, nel rispondere affermativamente alla chiamata di un club come il Genoa, che all’epoca aveva già vinto 7 campionati. Non possiamo però sapere cosa pensò, quando comprese che avrebbe dovuto giocare di lì a pochi istanti, durante l’evento clou della giornata, dopo aver giocato 90 minuti con la primavera. “Un tempo ce la faccio” affermò Barbieri, ma alla fine giocò tutta la partita, distinguendosi nuovamente come il migliore in campo.
Altri tempi, si dirà, ma quel ragazzo dal ciuffo impertinente doveva avere energia da vendere. Provate voi a giocare due partite di fila, esordendo a sorpresa tra i professionisti e dimostrandovi migliori in campo in entrambi i match!
Di lì a pochi mesi iniziò il primo campionato del dopo guerra e, alla terza giornata, Barbieri giocava già titolare; grazie alla generosità e all’umiltà che dimostrava in campo, divenne subito inamovibile nella mediana del Genoa.
Ottavio Barbieri e il Genoa degli “invincibili”
Chi giocava in mediana, la spina dorsale della squadra, doveva essere abile a difendere e al contempo a costruire gioco, coprendo dunque una zona di campo molto ampia. In quel ruolo Mister Garbutt aveva già Leale a sinistra, che aveva lanciato dai boys alla prima squadra a soli 16 anni. Barbieri andava invece a coprire la posizione di laterale destro e, con l’arrivo del centromediano Burlando, “l’uomo di ferro”, nacque il “trio delle meraviglie”, la mediana del Genoa degli anni d’oro.
“Barbieri – Burlando – Leale”, recitavano come un mantra i supporters dell’epoca, testimoni oculari di quelli che per noi sono sogni mitologici, tracce del nostro glorioso passato, al contempo concrete e oniriche, come fossero le vestigia dell’Impero Romano.
Con quella mediana Mister Garbutt non conquistò certo le Gallie, ma costruì un Genoa che, come l’esercito di Cesare, non conosceva la parola sconfitta. Barbieri con quel Genoa vinse infatti due scudetti consecutivi, con ben 33 partite di seguito senza mai perdere. Gli “invincibili” avrebbero vinto anche il terzo titolo nel 1925, quello che oggi ci darebbe diritto alla tanto agognata stella, se non fosse stato per le note e controverse vicende del decisivo match contro il Bologna (ma questa è un’altra storia…).
Ottavio Barbieri allenatore “sistemista”
Dopo una carriera gloriosa, con la maglia rossoblu ma anche con quella azzurra della Nazionale, Barbieri appese gli scarpini al chiodo nel 1932, quando gli acciacchi e gli infortuni avevano ormai umanizzato la sua figura mitica.
Ancora giovane e non pago dei successi ottenuti con la palla tra i piedi, decise dunque di vestire i panni dell’allenatore. Dopo aver conquistato la promozione in serie B con l’Aquila e aver guidato l’Atalanta verso la serie A, nel 1939 le strade di Barbieri e del Grifone tornarono ad incrociarsi.
Mister Garbutt, che era ancora alla guida del Genoa, non aveva, infatti, solo il fiuto per i buoni giocatori, e lo volle come allenatore in seconda, almeno fino a quando si vide costretto a ritornare in Inghilterra, a causa dei venti di guerra che tornavano a spirare sull’Europa. Fu allora che Barbieri, all’improvviso, proprio come al suo esordio da giocatore, divenne responsabile della prima squadra.
Con grande spregiudicatezza, dispose il suo Genoa con l’innovativo “sistema”, all’epoca inviso agli allenatori italiani, che gli preferivano il cosiddetto “metodo”. Queste due tattiche, su cui verteva il primo grande dibattito della storia tra differenti filosofie calcistiche, meriterebbero un capitolo a parte.
Vi basti sapere che il “metodo”, noto come “kick and run” (calcia e corri), che sa tanto di “palla lunga e pedalare”, era caratterizzato da lunghi lanci per gli attaccanti; il “sistema”, definito “carpet football” (calcio sul tappeto), era invece basato sul possesso del pallone, sempre giocato rasoterra con brevi e numerosi passaggi.
Come una specie di Guardiola in bianco e nero, Barbieri sperimentò questa seconda opzione nel Genoa, conquistando un ottimo 5° posto ma imparando che quella tattica, proprio come l’odierno tiki-taka, ha bisogno degli interpreti adatti.
Sarà infatti questo lo schieramento utilizzato dal Grande Torino, che nel 1943 diventerà la prima squadra “sistemista” a vincere uno scudetto. La serie vincente si protrarrà fino al 1949, anno in cui quei campioni incontreranno l’unico avversario in grado vincerli: il fato, che li coglierà nel disastro aereo di Superga.
Come fosse un protagonista del film “Final Destination”, Barbieri scampò a quella tragedia per miracolo; era stato infatti invitato a partecipare alla trasferta portoghese insieme alla squadra granata, per una amichevole con il Benfica, e fu solo per imminenti impegni che dovette rinunciare, evitando così, all’improvviso come suo solito, di far parte di quel triste capitolo della storia del calcio.
Ottavio Barbieri e lo scudetto con il “mezzo sistema”
La sua più celebre avventura nelle vesti di allenatore, Barbieri la visse però nel 1944, alla guida della squadra dei Vigili del Fuoco di La Spezia; ossia gli stessi giocatori dello Spezia, prestati ai Pompieri per evitare loro la chiamata alle armi.
Come Mister Garbutt aveva fatto con lui, Barbieri allestì una squadra fortissima, che vinse il campionato ai danni del Grande Torino e, soprattutto, di quel Bologna che gli aveva negato in modo fraudolento lo scudetto del 1925, quando ancora vestiva la casacca rossoblu.
A La Spezia, Barbieri sperimentò per primo l’ancor più innovativo “mezzo sistema”, una versione più difensiva del “sistema”, evolutasi successivamente nel più familiare “catenaccio”. Con quella tattica i Vigili del Fuoco di La Spezia diventarono campioni d’Italia, anche se, successivamente, la Federazione repubblichina non omologò il titolo “per le particolari circostanze in cui era stato giocato”. Non pareva serio conferire uno scudetto ai Pompieri!
Per la seconda volta Barbieri si vedeva ingiustamente negato un trionfo meritatissimo; non poteva certo sapere che quel campionato sarebbe stato aggiudicato allo Spezia nel 2002, anche se solamente a titolo onorifico.
Al sentirmi menzionare una delle pur poche gioie degli aquilotti, i non molti di voi che sono giunti a leggere fin qui, avranno certamente storto il naso. Beh, l’ho storto un po’ anche io nello scrivere, ma la storia è storia; quella del Genoa è così grande che possiamo permetterci eroi come Ottavio Barbieri, in grado di fare la nostra storia e anche quella degli altri.
di Enrico Barbieri